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Cucchi, l'infermiera: "Disse che l’avevano picchiato i carabinieri"

07 novembre 2018 | 18.59
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(Fotogramma)
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"Stefano Cucchi mi disse che qualcuno gli aveva menato e che erano stati i carabinieri". Lo ha detto Silvia Porcelli, infermiera del reparto di medicina protetta dell’ospedale Sandro Pertini di Roma, sentita oggi come testimone al processo per la morte del geometra 31enne. "Quando dissi a Stefano che avrei dovuto chiamare gli agenti della polizia penitenziaria come testimoni di quello che diceva - ha aggiunto Porcelli confermando quanto detto già nel 2011 durante il primo processo - lui, mentre uscivo dalla stanza, mi disse 'non chiamare nessuno, tanto non lo ripeto'".

In aula oggi sono stati ascoltati vari infermieri che ebbero in cura Cucchi. "Stefano si lamentava per il dolore, gli chiesi cosa gli fosse successo e lui mi disse che era caduto dalle scale, d’altronde ne vedevo tanti di detenuti con segni di percosse e nessuno diceva di essere stato picchiato" ha detto l'infermiere Giuseppe Flauto, chiamato a testimoniare. Flauto, assolto in via definitiva nel primo processo per la morte di Cucchi, è l’infermiere che troverà il 31enne ormai senza vita.

CARABINIERE INTERCETTATO: PM VOGLIONO ARRIVARE A VERTICI CC - "Questi vogliono arrivare ai vertici. Pensano che hanno ammucchiato (nascosto, ndr) qualche cosa, ma ci posso entrare io carabinericchio di sette anni di servizio a fare una così grande". Lo dice Francesco Di Sano, piantone alla caserma di Tor Sapienza, parlando al telefono con il cugino, l'avvocato Gabriele Di Sano, entrambi indagati nella nuova inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi. Si tratta di un’intercettazione depositata oggi dalla Procura nel processo a carico di cinque carabinieri. "Per me era un detenuto come tutti gli altri - continua - io ho fatto più del mio dovere, l'ho fatto in maniera impeccabile, io ho eseguito un ordine in buona fede", aggiunge il carabiniere riferendosi all’annotazione sullo stato di salute di Cucchi che sarebbe stata modificata su ordine gerarchico. "Per un motivo ‘X’ hanno voluto cambiare l'annotazione - afferma - io questo non lo posso sapere. Se volevano nascondere qualcosa, o perché era scritta male la mia annotazione o perché l'avevo scritto con i piedi... se un mio superiore, in caso di specie in primis il mio comandante di stazione, perché io non parlo con gli ufficiali, non è che potevo parlare con il colonnello, c'è una scala gerarchica. Io l'ordine l'ho ricevuto dal comandante di stazione, la mail l'ha ricevuta lui".

"Sarebbe stato sufficiente che tu avessi detto al pm, alla domanda sulle modifiche dell'annotazione: 'guardi l'ho fatto di mia sponte perché all'epoca ero giovane, siccome ritenevo di avere sbagliato, aderendo di più a quello che effettivamente vedevo'. Sarebbe stato sufficiente che tu dicessi questa cosa", interviene il cugino avvocato. "Con il senno di poi è facile, il pm mi ha messo con le spalle al muro" gli risponde il carabiniere. "Non è il senno di poi, Francesco, è il fatto che non vi istruiscono su cos'è il reato di falso, quali sono i reati che può commettere un pubblico ufficiale" ribatte l’avvocato. "Dal pm io sono andato impreparato, con l'ansia perché lui ti intimorisce proprio" aggiunge nell’intercettazione Francesco Di Sano, parlando con il cugino avvocato. "Io non ho fatto nulla...ma il reato c'è per carità di Dio, risponderò di quello ma ripeto c'è la buona fede...per me sono identiche le due annotazione, cioè cambia solo la sintassi e loro mi dicevano ‘no cambia nella sostanza perché è scomparso questo, i dolori al costato sono diventati dolori alle ossa’" conclude il carabiniere.

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