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Lavoro, Confcooperative: manca mano d'opera, a Paese costa 28 mld in 2023, l'1,5% di mancato Pil

03 novembre 2023 | 16.04
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Lavoro, Confcooperative: manca mano d'opera, a Paese costa 28 mld in 2023, l'1,5% di mancato Pil

Non manca il lavoro, in Italia, mancano i lavoratori. Un mismatch da 316mila posti vacanti che presenta nel 2023 un conto davvero salato e in forte crescita al Paese: 28 miliardi di euro, l'1,5% di mancato Pi l contro l'1,2% del 2022 quando a 'mancare' erano in 235mila. Se infatti le imprese fossero riuscite a trovare tutte le figure professionali di cui ci sarebbe stato bisogno la crescita nel 2023 avrebbe potuto raggiungere i 1.810 mld di euro. A consegnare la fotografia di un mercato com'è e come sarebbe potuto essere, è lo studio di Censis e Confcooperative, dal titolo 'Lavoro, il mercato contorto" che stima gli effetti economici della mancanza di lavoratori sulla base del tasso dei posti vacanti nell’industria e nei servizi. A denunciare lo sbilancio più ampio, stando ai dati del secondo trimestre 2023, soprattutto le attività dei servizi di alloggio e ristorazione che, rispetto ad un valore medio del 2,3% per il totale di industria e servizi, tocca quota 3,7%; appena al di sotto il settore delle costruzioni con il 3,1% e le attività di informazione e comunicazione (2,9%), mentre meno critica appare la situazione nel manifatturiero (2%), nel settore energetico (1,2%) e nei trasporti (1,4%).

Ma il mercato del lavoro non soffre solo del disallineamento tra domanda e offerta: è anche un mercato che sta sì crescendo (gli occupati totali con almeno 15 anni sono aumentati nell’ultimo decennio di quasi 800 mila unità, con un incremento rispetto al 2012 del 3,6%) ma che sta, anche, inevitabilmente invecchiando. In 10 anni, dal 2012 al 2022 gli over 50 infatti sono cresciuti di quasi 3 milioni, passando dai 6,3 milioni del 2012 ai 9 milioni del 2022: un incremento del 42,4%, tanto che oggi la classe d’età 50 rappresenta una quota pari al 39% sul totale dell’occupazione (era il 28,4% nel 2012). Per non parlare degli over 65: nel 2022, annota ancora il Rapporto Confcooperative, risultavano ancora occupati 687 mila individui con un’età uguale o superiore ai 65 anni mentre tra il 2012 e il 2022 la componente più anziana è, di fatto, cresciuta del 72,2%.

Una situazione che di fatto congela l'occupazione giovanile: tra il 2012 e il 2022 i 15-34enni occupati si riducono, in termini assoluti, di 361 mila unità; in termini relativi la variazione è di -6,5%. La quota dei giovani fra gli occupati passa infatti dal 25,1% del 2012 al 22,6%. "Se si tornerà alla stagione della “crescita zero virgola”, tutte le contraddizioni coperte dalla ripresa degli ultimi anni verranno alla luce", denuncia Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative. "La mancanza di lavoratori, la scarsa dinamica del ricambio generazionale, il rischio di avvitamento verso il basso della crescita, della produttività e della capacità di innovazione, appaiono quanto mai inevitabili. Elementi di un’oggettiva sfasatura che, oggi più che in passato, caratterizza il mercato del lavoro italiano, dal quale emerge un quadro di forte complessità", conclude.

Ma lo studio sfata un'altro luogo comune: in Italia non c'è nessun fenomeno legato alle grandi dimissioni. Nessuna "great resignation" e neppure una "quiet quitting": nel nostro Paese infatti la scelta di licenziarsi altro non è che la manifestazione di una "mobilità interna" del mercato del lavoro spinta essenzialmente non dalla ricerca di un maggiore guadagno ma dall’insoddisfazione e la voglia di trovare una posizione che riconosca le competenze del lavoratore. "Nel 2022 il numero di lavoratori dipendenti che si sono dimessi è stato di 1.047.000, di questi circa 700 mila si sono ricollocati nel giro di 3 mesi pari al 66,9% sul totale delle dimissioni volontarie", si legge.

Un trend decisamente in rialzo rispetto all’era pre-Covid, quando nel 2019 le dimissioni volontarie interessavano poco più di 810.000 lavoratori, ma entro tre mesi se ne ricollocava il 63,2%, quasi il 4% in meno rispetto al 2022. Il tasso di ricollocazione tende dunque a crescere, in linea con l’aumento dell’occupazione che si è registrata negli ultimi due anni. Ma cambiano le motivazioni. "Nel 2012 il 51,2% degli occupati a tempo indeterminato dichiarava di voler cambiare lavoro per guadagnare di più. Nel 2022 questa percentuale, pur restando la più elevata fra le motivazioni, si attesta a un livello molto più in basso: il 36,2%". Tra i motivi che inducono a cambiare lavoro c’è oggi, infatti, la ricerca di un lavoro più qualificante per le proprie capacità/competenze e con maggiori prospettive di carriera, 36,1%.

Ma dove si ricollocano i lavoratori che si dimettono? Generalmente trovano nuovo spazio all’interno dello stesso settore di provenienza, anche se il grado di continuità, entro i tre mesi, vari da settore a settore. Se infatti il 73,1% dei lavoratori metalmeccanici trova un nuovo impiego nello stesso settore, come il 73,1% dei lavoratori nelle costruzioni, il 78,5% di quelli nei trasporti e comunicazioni e il 79% del terziario, la percentuale scende al 52% nella ristorazione e al 61% nel Commercio (61,7%).

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