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Da non si può fare a non mi serve aiuto, le 7 cose da non dire mai sul posto di lavoro

04 aprile 2014 | 18.43
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Da non si può fare a non mi serve aiuto, le 7 cose da non dire mai sul posto di lavoro

Roma, 4 apr. (Labitalia) - Non è il mio compito, non si può fare, non mi serve aiuto. Sono alcune delle frasi da non dire se si vuole avere successo nel lavoro. A stilare un vero e proprio elenco delle cose da non dire è Ilya Pozin, ceo di Open Me, azienda di cartoline di auguri di fama mondiale. "Sette frasi -sostiene- che chiunque cerchi il successo professionale deve eliminare dal vocabolario che adopera in ufficio. Forse non tutti puntano in alto o hanno grandi ambizioni, ma tutti vorrebbero avere successo nel proprio lavoro, qualunque esso sia".

La prima frase da evitare è 'non è mio compito'. "Anche se veramente non lo è -spiega Pozin- chi dice così di fronte alla richiesta di sbrigare un nuovo compito o di assumersi una nuova responsabilità si mette nella posizione di sembrare pigro e poco motivato. Meglio, allora, affrontare l'argomento con il diretto superiore in un secondo momento, discutendo gli ambiti di competenza e la mole di lavoro effettivamente di propria pertinenza".

"'Non si può fare' -continua- è percepito come negativo e rinunciatario, non certo due qualità che aprono la strada al successo professionale. Invece di dire 'non si può fare' in assoluto, è consigliabile rispondere proponendo modalità alternative per raggiungere l'obiettivo. Le aziende hanno bisogno di soluzioni, non di problemi. Chi le offre, invece di rinunciare in partenza, sarà considerato un dipendente di valore".

Da evitare anche la frase 'si è sempre fatto così' "Continuare a fare le cose come si è sempre fatto -sostiene Ilya Pozin- non è necessariamente il modo migliore per fare crescere l'azienda o il business. Lo sanno bene quelle aziende che, a fronte grandi cambiamenti, hanno mantenuto lo status quo per poi essene sommerse. Adattarsi alle evoluzioni del mercato in cui si opera presuppone la capacità di modificare i propri processi lavorativi, trovare nuove soluzioni e assumere un modo di pensare innovativo".

All'indice anche chi dice 'non è colpa mia'. "Nessuno vuole lavorare -fa notare. con chi scarica il barile, anche perché teme di essere il prossimo su cui sarà scaricato. Invece di sottolineare le mancanze degli altri occorre prendersi la responsabilità dei propri errori e ammetterli, dimostrando forza di carattere e la capacità di imparare dall'esperienza.

Meno che mai dire "ci vuole solo un minuto'. "A meno che davvero non ci volgliano solo 60 secondi -avverte il ceo di Open Me- è meglio non promettere ciò che poi non si può mantenere. Inoltre, anche se l’intenzione implicita è quella di comunicare che si può fare velocemente qualcosa in virtù delle proprie abilità e competenze, l'espressione 'ci vuole solo un minuto' ottiene l'effetto contrario di svalutarle, perché il compito da svolgere può apparire troppo facile".

Al bando anche il lavoratore che dice 'non mi serve aiuto'. "L'eroe solitario funziona bene nei film -osserva Ilya Pozin- non nelle aziende. Sapere lavorare in team è l'anticamera per le posizioni di leadership. Anche chi pensa di potere portare avanti da solo i propri progetti deve rendersi conto che la scala del successo non si può salire con le uniche proprie forze".

Infine, non poteva mancare 'non è giusto'. "Non è giusta la vita -conclude- figuriamoci se lo è il posto di lavoro. Invece di lamentarsi, è meglio cercare soluzioni ai problemi. Se il progetto ambìto viene assegnato a qualcun altro, meglio rimboccarsi le maniche e cercare di guadagnarsi quello successivo, anche perché nessun manager si è mai commosso di fronte a chi grida all'ingiustizia".

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