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Formazione: Isfol, sempre più adulti coinvolti ma rimane scarto rispetto media Ue

05 maggio 2016 | 17.18
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I commenti del sottosegretario al Lavoro Bobba, di Pierangelo Albini di Confindustria e di Giorgio Fossa di Fondimpresa. (video)

Un momento della presentazione del  Rapporto Isfol
Un momento della presentazione del Rapporto Isfol

Nel corso del 2014 il tasso di partecipazione della popolazione adulta (25-64 anni) ad attività educative e formative ha raggiunto in Italia l’8%, pari a 2,6 milioni di persone. Nonostante lo scarto che ancora permane rispetto alla media Ue (10,7%), il trend appare particolarmente positivo, con un incremento rispetto all’anno precedente dell’1,8%. E' quanto emerge dal XVI Rapporto sulla Formazione continua in Italia, realizzato dall'Isfol e presentato oggi a Roma. (video)

In linea con gli anni passati e con quanto avviene nel resto d’Europa, il coinvolgimento in istruzione e formazione interessa più le donne (8,3%) degli uomini, più i 25-34enni (14,9%) delle altre fasce d’età, più i laureati (18,7%) di chi ha un titolo di studio inferiore, più gli occupati (8,7%) dei disoccupati e inattivi (in questo caso su scala europea fanno eccezione i paesi scandinavi e la Spagna).

Sul piano territoriale il Centro-Nord si conferma come l’area geografica con la maggiore partecipazione e, rispetto al Sud, mostra inoltre un trend positivo più intenso. La modifica degli strumenti normativi nazionali, in particolare la legge 236/1993 e la L. 53/2000, l’emanazione del decreto attuativo del Jobs Act e le misure di finanza pubblica adottate dalle leggi di stabilità così come i provvedimenti straordinari di contrasto alla crisi, hanno modificato l’assetto delle politiche per la formazione continua, sia sotto il profilo istituzionale sia dal punto di vista finanziario.

Complessivamente durante gli anni della crisi consistenti quote delle risorse derivanti dallo 0,30%2 sono state trasferite agli ammortizzatori sociali in deroga. Ciò ha comportato un minor gettito di oltre 1 miliardo di euro per gli interventi di formazione continua nel periodo 2009-15. A decorrere dal 2016 i Fondi interprofessionali per la formazione continua rientrano tra i soggetti che costituiscono la Rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro. Il loro ruolo si è, quindi, rafforzato e i Fondi sono ora l’unico strumento di finanziamento della formazione continua a livello nazionale.

A ottobre 2015 il numero di adesioni ai Fondi interprofessionali si assesta su circa 930 mila imprese e circa 9,6 milioni di lavoratori. In molti territori e in alcuni ambiti settoriali si è vicini alla piena copertura dell’universo delle imprese attive. Si evidenzia una capillarità diffusa di ciascun Fondo sulle diverse circoscrizioni geografiche, anche se prevalgono comunque i Fondi che hanno una connotazione territoriale (con almeno un territorio che polarizza oltre il 40% delle adesioni).

Sotto il profilo finanziario, a partire dal 2004 i Fondi interprofessionali hanno gestito complessivamente circa 5,2 miliardi di euro, per una media annuale che si attesta intorno ai 450 milioni l’anno. A tali risorse vanno aggiunte quelle che il ministero del Lavoro ha conferito a titolo di start-up nel corso del primo triennio di attività, per un importo di circa 192 milioni di euro totali. Le risorse a disposizione dei Fondi sono state nel 2014 pari a 570 milioni di euro e nel 2015 a circa 400 milioni di euro (dati a ottobre 2015). Il valore medio contributivo per lavoratore è di circa 65 euro.

Nel 2014 i Fondi hanno approvato circa 31 mila piani formativi, circa 2 mila in più rispetto all’anno precedente, con un coinvolgimento di oltre 59 mila imprese e un bacino potenziale di lavoratori pari a circa 1,6 milioni. Continuano ad essere tre i temi maggiormente presenti: mantenimento-aggiornamento delle competenze, competitività d’impresa e innovazione, formazione obbligatoria. Quanto ai progetti specifici dei piani, ancora una volta la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro si afferma come la tematica più ricorrente.

Per quanto riguarda le metodologie formative, l’aula rappresenta l’ambiente di apprendimento di gran lunga più utilizzato (nel 76,4% dei piani), anche se un ruolo crescente sembra essere assunto dal training on the job (8,4%) e dell’autoapprendimento mediante formazione a distanza (5,5%). La mancata certificazione dei percorsi formativi interessa oltre la metà (54,9%) dei partecipanti alle iniziative programmate.

Circa il 73% dei progetti prevede percorsi con una durata massima di 16 ore e con una particolare concentrazione entro le 8 ore. I progetti che prevedono solo attività di formazione standard sono prevalenti (95,9%). Vi è una scarsa presenza di servizi aggiuntivi alla formazione, quali il bilancio di competenze (nell’1,6% dei progetti) o l’orientamento (nell’1% dei progetti). Relativamente ai partecipanti prevale la quota di coloro che hanno un contratto a tempo indeterminato (79,5%) e un’età compresa tra i 35 e i 44 anni (37,4%), cui segue la classe immediatamente precedente dei 25-34enni (26,4%). La formazione è maggiormente fruita da chi ricopre ruoli apicali.

Si conferma la significativa presenza di imprese con oltre 500 dipendenti (41,6%). Nonostante ciò va segnalata la presenza di microimprese che unite alle piccole (fino a 49 dipendenti) vedono una partecipazione complessiva del 36,8%. I dati sulle imprese che hanno promosso la crescita del know-how interno nel 2014 mostrano un arresto del trend negativo dell’investimento formativo, con un avvio di ripresa rispetto agli anni precedenti, ma con previsioni di assunzioni concentrate su figure a basso livello di qualificazione.

Si delineano, quindi, rischi di mancato incontro tra domanda e offerta di competenze, di over-education e di sottoinquadramento. Le aziende possono scegliere di investire in formazione per interventi a favore dei neoassunti, per aggiornare il personale sulle mansioni già svolte o per indirizzarlo a nuove mansioni. L’unica di queste tre tipologie a registrare una variazione in positivo è l’aggiornamento sulle mansioni già svolte. Una strategia difensiva da parte delle imprese, consistente nel concentrare le scarse risorse sul rafforzamento delle competenze del personale.

Una stima della relazione tra la formazione e i tassi di crescita dell’economia mostra che i paesi europei nei quali la forza lavoro occupata è stata maggiormente coinvolta dalle imprese in attività di formazione hanno subito una riduzione del pil meno pronunciata rispetto a quelli nei quali le imprese sono state meno attive in tale direzione. Questa relazione suggerisce che la bassa propensione delle imprese a formare i propri addetti possa essere considerata uno dei fattori che hanno contribuito al rallentamento dell’economia italiana negli ultimi anni.

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