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Damiano Michieletto: "Nel mio 'West Side Story' a Caracalla saranno tutti un po' sudati"

Il regista ha avuto carta bianca per la realizzazione del programma del Festival 2025: "Farò proposte che offrano novità e spettacolarità"

Damiano Micheletto al Costanzi (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
Damiano Micheletto al Costanzi (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
13 ottobre 2023 | 17.59
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Sarà un cartellone ricco di proposte che offrano "novità" e "spettacolarità" e che possano essere "emozionanti" quello che Damiano Micheletto preparerà per il Festival di Caracalla 2025, che coincide con il Giubileo. "Non ho ancora messo a fuoco nessuna idea precisa, partiamo da titolo proposto dal Teatro dell'Opera di Roma, 'West Side Story' di Leonard Bernstein, capolavoro assoluto del '900, per il quale cercherò di offrire le mie idee migliori", spiega lo stesso Micheletto in un'intervista all'Adnkronos. E aggiunge: "Se dovessi dire quale sarà una caratteristica del mio allestimento, direi che sul palcoscenico dovranno essere tutti un 'po' sudati'. 'West Side Story' celebra la potenza del ritmo, della vitalità e della giovinezza e io vorrei riuscire a portare al pubblico questa straordinaria carica di adrenalina".

Veneziano, classe 1975, Damiano Michieletto è uno dei registi di teatro musicale più apprezzati, celebre per le sue produzioni nei maggiori teatri e festival europei. Stasera, venerdì 13 ottobre, va in scena al Costanzi il nuovo allestimento del 'Giulio Cesare in Egitto' di Georg Friedrich Haendel, l'ottavo che firma per il Teatro dell'Opera di Roma, che vede uno specialista come Rinaldo Alessandrini sul podio e tre controtenori, Raffaele Pe, Carlo Vistoli e l'americano Aryeh Nussbaum Cohen nei ruoli principali. E proprio la Fondazione lirica capitolina gli ha dato 'carta bianca' per 'inventare' il cartellone del Festival di Caracalla 2025.

Ancora è presto per capire cosa ci sarà nel programma, ma "il mio tentativo sarà quello di fare delle proposte che offrano una buona dose di novità - spiega Michieletto - sapendo che Caracalla è un posto molto grande con esigenze particolari e che richiede proposte che possano essere emozionanti". La rassegna estiva dell'Opera di Roma si è trasformata negli anni fino a diventare un vero e proprio Festival con opera, danza, cinema, teatro, musica sinfonica, jazz e pop. "Una formula - osserva il regista vincitore del Premio Abbiati nel 2017 per 'La damnation de Faust' di Berlioz al Costanzi - che a livello teorico mi piace molto perché la multidisciplinarietà di linguaggi è giusta, soprattutto in un posto come le Terme di Caracalla che vive di grandi eventi e dove il pubblico si aspetta qualcosa di spettacolare. Quindi certamente proporrò un'offerta spettacolare ma variegata, in modo da non ridurla a consuetudine, nel senso che lo spettatore che va a Caracalla non deve sapere già prima che cosa troverà".

La cifra stilistica di Michieletto regista è sempre improntata alla rilettura in chiave contemporanea dei classici dell'opera lirica, ma senza mai tradire l'intenzione dell'autore, anzi rivelando spesso degli aspetti nuovi nascosti tra le pieghe della storia. Nonostante ciò, le sue regie sono frequentemente dibattute dal pubblico più tradizionalista. "L'importante è quello che si fa - afferma il regista - e le discussioni su tradizione e innovazione sono un inevitabile prodotto della proposta che si fa. Non c'è niente di male nella discussione e nel dibattito, è giusto che ci sia, fa parte di un dialogo costruttivo tra platea e palcoscenico. Cerco di capire le critiche, di ascoltarle, ma nello stesso tempo tento di restare fedele alla mia idea. Penso infatti che da quando è nata la figura del regista, è nato anche un percorso di interpretazione dei classici e io sono uno dei tanti che si inserisce in questo percorso; tutti i registi in un modo o nell'altro tendono a leggere e a rivedere sotto un'estetica personale l'opera lirica. Anche quelli che vengono definiti 'tradizionali'".

Un po' quello che succede anche con la musica, dove il direttore d'orchestra dà una sua lettura dell'opera. "Sì, ma il direttore d'orchestra sta all'interno di una partitura che è ben codificata - osserva Michieletto - il regista no e deve fare lui tutte le scelte che riguardano il palcoscenico. Sono due lavori molto diversi. La musica è certamente la prima regia di un'opera ma mentre il direttore ha un gruppo di musicisti con tutte le note segnate in partitura per i loro strumenti, il regista non ha alcuna guida e tutto quello che avviene in palcoscenico deve inventarselo". Anche nel teatro di prosa il regista dà una lettura sempre nuova del testo, ma le polemiche sono meno insistenti: "Nella prosa questa discussione non è così forte come nell'opera - spiega - perché lì c'è solo il testo, il lavoro è meno codificato e c'è più libertà, per cui il pubblico della prosa non nutre aspettative come quello dell'opera e va a vedere uno spettacolo con un atteggiamento più libero, più aperto".

L'opera però è un tipo di spettacolo che va avanti ormai da più di quattro secoli e la sua "continuità è sempre nel rapporto tra platea e palcoscenico, dal barocco alla contemporaneità. Penso che il futuro dell'opera ci sia, altrimenti non farei questo lavoro, ma bisogna raccontare storie di oggi con musica di oggi, ovviamente non parlando della cronaca ma di storie attuali e universali. Il compositore non deve porsi su un piedistallo ma allo stesso livello del pubblico e provare a inventare qualcosa che soddisfi gli spettatori. Scrivere una bella canzone che dura tre minuti può essere facile, ma scrivere un'opera che dura anche tre ore, non è facile e i compositori di oggi devono fare questo", conclude Michieletto.

(di Pippo Orlando)

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