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Covid, Crisanti: "In ritardo sui tamponi, ora ne paghiamo le conseguenze"

08 ottobre 2020 | 08.23
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(Foto Fotogramma/Ipa)
(Foto Fotogramma/Ipa)

"Venticinquemila in più? Sono acqua fresca. O una pezza calda, se preferisce. Io ne suggerivo 3-400 mila al giorno”. Lo dice, intervistato da 'la Repubblica', Andrea Crisanti, direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare della Università di Padova, a proposito del numero record di tamponi effettuati ieri: oltre 125mila. E alla domanda: era fine agosto quando lei presentò al governo un piano per quadruplicarli. Che fine ha fatto quello studio? Il microbiologo risponde: “L'ho consegnato al ministro Federico D'Incà e al viceministro Pierpaolo Sileri che lo hanno sottoposto al Cts. Poi non ne ho saputo più nulla...”.

“Avevo semplicemente previsto - spiega - che la ripresa delle scuole e delle attività produttive avrebbe generato un notevole aumento delle richieste di tamponi. Suggerivo quindi la necessità di un investimento logistico importante che avremmo potuto realizzare in 2-3 mesi, la creazione di aree mobili di supporto sul territorio e tamponi low cost da 2 euro come quelli usati a Padova. Lo dico contro me stesso: forse ad agosto eravamo già in ritardo e ora ne paghiamo le conseguenze”. E osserva: “Abbiamo perso 4 mesi preziosi. L'aver pensato che era tutto finito perché avevamo 100 casi al giorno è stata un'illusione e nel frattempo non s'è fatto nulla. Abbiamo speso miliardi per il bonus bici e i banchi, invece di investirli per creare un sistema sanitario di sorveglianza che ci avrebbe messo in sicurezza”.

Alla domanda, cosa si può fare ora? Risponde invece: “Dipende dall'obiettivo. Possiamo usare i tamponi per tre attività: screening di comunità, prevenzione o sorveglianza attiva. Nel primo caso si tratta di impedire a chi è potenzialmente infetto di entrare in comunità e dunque serve un test affidabile e sensibile come il tampone Pcr. Nel caso dello screening, l'obiettivo è capire se c'è trasmissione nella comunità e, in prima battuta, va bene anche il tampone rapido. Nella sorveglianza attiva di un positivo, l'obiettivo è isolare dalla comunità le persone che può aver infettato o che l'hanno contagiato: amici, parenti, colleghi”.

“Ci siamo concentrati sul contact tracing che è - dichiara - un'attività di investigazione. Con la ripartenza di scuola e lavoro, abbiamo dato più opportunità al virus di trasmettersi, sono aumentati i casi e siamo saturi di richieste di tracciamento. Il sistema italiano è chiaramente in affanno. Ma non c'è sistema sanitario in Europa in grado di reggere 4-5 mila richieste al giorno di contact tracing”. Infine, in merito alle previsioni per i prossimi mesi riferisce: "Quel che preoccupa è il rapido aumento dei casi. Via via il governo introdurrà inasprimenti che impatteranno sulla qualità della vita. Ma queste misure devono essere accompagnate da un investimento in sanità: non si può scaricare tutto sulle spalle degli italiani. I fondi del Mes sono disponibili da ora: li usassero. Il virus si batte solo così, sul campo, con lo screening sui territori e la ricerca”.

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