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Covid, Vaia: "Mille contagi è un alert, ma non è seconda fase"

22 agosto 2020 | 21.56
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(Fotogramma)
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"I mille contagi di oggi ci dicono grande attenzione, grande alert, ma non ci dicono che siamo in una tragedia e soprattutto non ci dicono che siamo nella seconda fase. La seconda fase non è ineluttabile". Lo ha detto il direttore sanitario dell'Istituto Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, intervenuto all'incontro dialogo sul Covid-19 con il direttore del Tg3 Mario Orfeo nella Sala delle Colonne di Vico Equense (Napoli). "Un politico - ha raccontato Vaia - ci disse che era meglio fare le elezioni a inizio settembre perché alcuni miei colleghi dicevano che a fine settembre ci sarebbe stata la seconda ondata. Ma che facciamo noi, i meteorologi? Io sono stato il primo a rivolgermi ai ragazzi dicendo che nessuno vuole chiudere ma che devono stare attenti, e che se volete bene ai vostri genitori e ai vostri nonni dovete rispettare le regole. Questo è l'atteggiamento, non la criminalizzazione".

"Io sono stato e resto sempre contrario a interventi di lockdown, anche se riconosco che il lockdown in Italia ha dato un risultato e che in quel periodo probabilmente era necessario. Ma a valle di quel periodo il lockdown non serve a molto. Quei governatori che si esercitano in queste minacce secondo me si rendono responsabili, soprattutto di fronte ai più giovani, di un delitto, che è il delitto della sequela post Covid". "Ai giovani bisogna parlare molto chiaramente - ha aggiunto Vaia - e bisogna dar loro speranza. Noi non abbiamo bisogno di lockdown, abbiamo bisogno dello spirito che gli italiani hanno messo in campo durante quel periodo. Se penso a quando uscivo dalla mia stanza alle 7 di sera e sentivo alle finestre cantare l'Inno di Mameli o Nessun dorma, ancora oggi ho i brividi. Era quello lo spirito giusto in cui ciascuno faceva la sua parte".

"Al di là del numero dei contagiati, da gennaio a oggi è cambiata la carta d'identità del contagiato. Da gennaio a maggio era il contagiato aveva un'età media tra i 60 e i 65 anni, era una persona fragile, aveva patologie cronico-degenerative, c'erano anche persone giovani ma comunque molto fragili, con patologie importanti. Oggi la carta d'identità è molto cambiata: siamo passati a una media di 34 anni". "Oggi - ha aggiunto Vaia - il contagiato, non il paziente, è una persona prevalentemente giovane, che torna da un altro Paese o da un'area geografica italiana precisa come la Sardegna. Questi giovani oggi sono i diffusori del contagio e sono quelle persone che paradossalmente, pur essendo asintomatici o pochissimo sintomatici, possono essere pericolosi per coloro che hanno invece dei problemi. Il rischio in questo momento è che questi giovani, dopo essere stati molto attenti alle procedure, se in questa fase non dovessero rigidamente autoisolarsi fiduciariamente, possono diventare pericolosi per i propri genitori e per i propri nonni".

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