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Pentito di mafia: "Ho deciso di collaborare dopo la scomunica ai boss del Papa"

17 aprile 2015 | 10.42
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D'Amico sentito dal pm Di Matteo al processo per la trattativa Stato-mafia: "Ho ucciso una trentina di persone". E sottolinea: "Farò i nomi di potenti capaci di tutti. Cercheranno di togliermi di mezzo come volevano fare con lei, dottore, e con Ingroia". Su Matteo Messina Denaro: "Non è il capo di Cosa nostra". E sulle stragi di Capaci e via D'Amelio: "Andreotti e 007 i mandanti"

(Infophoto) - PRISMA
(Infophoto) - PRISMA

"Ho deciso di collaborare con la giustizia dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco, quelle parole mi hanno colpito moltissimo. Mi hanno fatto riflettere e così ho deciso di cambiare vita". Con queste parole il pentito di mafia Carmelo D'Amico spiega al pm Nino Di Matteo, deponendo al processo per la trattativa Stato-mafia, i motivi che lo hanno spinto a collaborare con la giustizia.

"Volevo cambiare vita - dice D'Amico visibilmente emozionato, collegato in videoconferenza - sia per me che per la mia famiglia. E quando ho sentito le parole del Papa contro la mafia ho deciso di parlare con i magistrati per raccontare ciò che sapevo". Era il 21 giugno del 2014 quando Papa Francesco pronunciò la sua scomunica ai mafiosi: "La Chiesa deve dire di no alla ‘ndrangheta. I mafiosi sono scomunicati”, aveva ammonito parlando a braccio durante l’omelia della Messa celebrata nella piana di Sibari.

Il pentito D'Amico oggi ammette anche "di non avere raccontato tutto subito - spiega - perché avevo paura per la mia famiglia che stava ancora a Barcellona Pozzo di Gotto".

"Ho iniziato a commettere omicidi dal 1992, ne ho commesso almeno una trentina. A un ragazzo ho anche tagliato le mani", racconta.

Il pentito, arrestato nel 2009, ha deciso di collaboratore con la giustizia solo di recente. In una lettera inviata lo scorso 4 aprile all'ufficio del pm Di Matteo ha chiesto di essere "sentito con urgenza per motivi giudiziaria". Oggi, nel processo, sta ripercorrendo la sua 'carriera' criminale, raccontando tutti i fatti di sangue commessi. "Sono a conoscenza di una settantina di omicidi e di centinaia di estorsioni - racconta - Molti omicidi li ho commessi per conto dei catanesi". E ne cita alcuni.

"Oggi farò per la prima volta nomi di potenti che sono capaci di tutto, sono capaci di entrare nelle carceri simulando suicidi e morte naturale, non solo in carcere ma anche fuori. Sono loro che dirigono la politica in Italia", sottolinea. Il collaboratore poi aggiunge: "Cercheranno di togliermi di mezzo per le cose che dirò - dice - Proprio come volevano fare con lei, dottore Di Matteo e con il dottore Ingroia...".

Il collaboratore, ripercorrendo i momenti trascorsi in carcere con il boss Antonino Rotolo tra il 2012 e il 2014, riferisce: "Matteo Messina Denaro non è il capo di Cosa nostra, è il capo mandamento della famiglia mafiosa di Trapani. Me lo disse in carcere Antonino Rotolo".

E ancora: "Andreotti, con altri politici, e i servizi segreti sono i mandanti delle stragi del '92, di Capaci e di via D'Amelio. Me lo ha raccontato Antonino Rotolo in carcere". "Hanno deciso di uccidere Falcone perché il giudice stava per svelare i contatti tra Cosa nostra e i servizi segreti con i politici. Volevano comandare l'Italia", ha detto.

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