Assiom Forex: outlook 2026, Europa potrebbe sorprendere con investimenti tedeschi e ReArm

Per il 2026 è atteso un volume significativo di scadenze di bond in Italia (~400 mld BTP), con importanti redemption nel primo trimestre (ca. 135 mld). Dopo una probabile fase di debolezza a inizio 2026, i metalli industriali dovrebbero recuperare terreno, grazie alla domanda per lo sviluppo di datacenter e AI

Assiom Forex: outlook 2026, Europa potrebbe sorprendere con investimenti tedeschi e ReArm
01 dicembre 2025 | 19.54
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Se il mercato americano resterà il riferimento, l’Eurozona – dopo tre anni consecutivi di performance positive (non accadeva dal 2017) – potrebbe sorprendere anche nel 2026. Nel 2025 si è verificato un importante re-rating, probabilmente anticipando parte della crescita degli EPS del 2026. E' quanto emerge dall'outlook di Assiom-Forex. Queste le previsioni e gli scenari disegnati dagli analisti.

Cina: per il 2026, vista la valutazione relativamente economica degli indici e la determinazione del partito nel migliorare la competitività delle aziende, riteniamo che ci potrà essere un interessante re-rating. Rischi: nuove tensioni USA-Cina, nuove tensioni dal mercato immobiliare

Usa: attenzione a un possibile rallentamento economico (occupazione, debito privato), incertezza politica e tensioni geopolitiche (Fed politicizzata, rapporti USA-Cina)

Fixed income: l’offerta netta di titoli di Stato dell’area euro resterà su livelli simili al 2025, intorno a 500 miliardi di euro, mentre la BCE proseguirà con il Quantitative Tightening a un ritmo stabile di circa 40 miliardi al mese. Per il 2026 è atteso un volume significativo di scadenze di bond in Italia (~400 mld BTP), con importanti redemption nel primo trimestre (ca. 135 mld). Situazione ancora complessa in Francia con scadenze nel primo trimestre 2026 pari a circa 130 mld

La domanda ufficiale verso i Treasury rimane comunque debole: i reserve managers nel 2026 rimarranno sensibili tanto alle dinamiche geopolitiche quanto allo stato dei conti pubblici statunitensi

Euro: l’upside potrebbe essere limitato dal rischio che minore inflazione porti la BCE ad abbassare i tassi ufficiali.

Petrolio: i rischi geopolitici dovrebbero scongiurare eccessivi ribassi

Metalli industriali: all’alba di un nuovo superciclo, dovrebbero recuperare terreno, sul timore che la domanda per lo sviluppo di datacenter e AI superi persistentemente l’offerta, gravata da problemi strutturali quali rendimenti decrescenti e lunghi tempi di sviluppo dei nuovi progetti.

Per il 2026, in attesa di valutare pienamente gli effetti delle misure protezionistiche statunitensi e le loro ricadute sui prezzi, il quadro macroeconomico resta nel complesso positivo, seppur in lieve rallentamento.

Crescita: negli Stati Uniti il PIL è atteso in aumento di circa il 2.1% nel 2025, sostenuto dalla rivoluzione tecnologica e dagli investimenti legati all’intelligenza artificiale. Per il 2026 è previsto un rallentamento moderato, pur mantenendo una dinamica complessivamente solida. In Europa, invece, la crescita resterà più contenuta, con un’espansione stimata intorno all’1.0%.

Inflazione: nell’eurozona l’inflazione dovrebbe continuare a rientrare, passando dal 2.1% nel 2025 all’1.8% nel 2026, avvicinandosi all’obiettivo di medio termine della BCE. Negli Stati Uniti, invece, la pressione sui prezzi rimane più persistente, in particolare nei servizi e nei beni influenzati dai dazi. Il processo di disinflazione avanza comunque in modo graduale, con un calo previsto dal 2.8% nel 2025 al 2.7% nel 2026. In questo contesto, la Federal Reserve mantiene un approccio prudente, bilanciando il proprio duplice mandato: garantire la stabilità dei prezzi e sostenere la piena occupazione.

L’occupazione rappresenta oggi uno dei principali fattori di preoccupazione, dopo la forte ripresa seguita alla pandemia. Le ultime rilevazioni dei Non Farm Payrolls hanno deluso le attese e il recente shutdown governativo, durato 43 giorni, ha complicato il lavoro della Federal Reserve, privandola di dati essenziali per le decisioni di politica monetaria. A questo si aggiungono i cambiamenti strutturali legati all’automazione: il recente annuncio di Amazon — poco rilevante nei numeri ma simbolicamente significativo — di sostituire 14.000 dipendenti con sistemi automatizzati ha riacceso il dibattito sulle ricadute occupazionali. Queste trasformazioni richiederanno particolare attenzione da parte della Federal Reserve, che potrebbe trovarsi a gestire un contesto di forte crescita della produttività accompagnato da una possibile contrazione dell’occupazione.

In Asia, gli stimoli cinesi continuano a sostenere l’attività economica, ma l’eccesso di capacità produttiva rischia di generare pressioni deflattive e nuove tensioni nelle catene globali di approvvigionamento.

Le recenti frizioni tra Cina e Giappone su Taiwan, l’emergere di un nuovo ordine multipolare e l’aumento del debito globale rappresentano elementi di vulnerabilità. A questi si aggiungono le pressioni sull’indipendenza della Federal Reserve, le instabilità di governo in Spagna, Francia e Regno Unito e il riacutizzarsi delle dispute commerciali, che continuano a pesare sul sentiment dei mercati.

L’evoluzione dei tassi di riferimento delle principali banche centrali dal 2006 al 2026 evidenzia l’alternanza tra lunghi periodi di tassi prossimi allo zero — o addirittura negativi in Europa e Giappone — e la brusca inversione di rotta del 2022. In quell’anno, il forte aumento dei prezzi dell’energia, del gas e delle materie prime, alimentato dalle tensioni geopolitiche e dalla ripartenza post-pandemica, ha costretto le banche centrali a interventi rialzisti particolarmente aggressivi.

Il 2026 dovrebbe invece aprirsi con banche centrali impegnate a gestire la fase finale della normalizzazione monetaria e delle loro attività di quantitative tightening. Negli Stati Uniti, la Fed dovrebbe avvicinarsi al proprio tasso neutrale, stimato intorno al 3%, dopo una fase di graduali riduzioni nel 2025. Dopo aver riportato il tasso di riferimento al 2% nel 2025 — livello ritenuto coerente con le condizioni economiche e con le recenti dinamiche inflattive — la BCE mantiene un approccio data-dependent, con l’obiettivo di preservare la disinflazione senza ostacolare la crescita dell’area euro. Il tasso al 2% riflette una posizione di neutralità monetaria che offre alla Banca centrale margini di flessibilità in base all’evoluzione del quadro congiunturale.

In Asia, la People’s Bank of China mantiene una politica monetaria accomodante per sostenere domanda e credito, mentre la Bank of Japan rimane concentrata sulla stabilità dello yen dopo l’abbandono dello Yield Curve Control. Il tasso di riferimento, attualmente pari allo 0.50%, è atteso salire fino all’1% nel corso del 2026, con l’obiettivo di contenere le pressioni inflazionistiche e preservare la stabilità valutaria dopo anni di tassi prossimi o inferiori allo zero.

Nel Regno Unito, la Bank of England dovrebbe seguire un percorso di normalizzazione analogo a quello della Federal Reserve, pur in presenza di un’inflazione ancora resiliente.

In questo contesto, il nuovo equilibrio dei tassi implica un costo del capitale strutturalmente più elevato rispetto al periodo post-2008, ma accompagnato da una minore volatilità macroeconomica. Il graduale ridimensionamento dei bilanci delle banche centrali rafforza inoltre la loro capacità di affrontare eventuali shock futuri, contribuendo alla stabilità finanziaria complessiva.

La sfida per il 2026 sarà quella di coniugare crescita sostenibile, disinflazione e gestione della liquidità in un contesto di crescente frammentazione economica e geopolitica, mentre i cambiamenti tecnologici potrebbero incidere profondamente sulle dinamiche occupazionali.

Usa: sempre leader, ma attenzione alle rotazioni

Il mercato americano rimarrà dominante grazie al settore tecnologico e al traino dell’AI. Gli utili sono attesi crescere oltre il 10%, con EPS che da circa 262 dollari dovrebbe superare i 300 dollari nel 2026. Le valutazioni resteranno elevate: il P/E dell’S&P 500 è stimato a 24x nel 2025 e a 21x nel 2026, mentre le Big Seven passeranno da 33x a 29x. Va sottolineato che il mercato USA ha raggiunto concentrazioni storiche: le “Magnificent 7” pesano per circa il 35% dell’S&P 500. Inoltre, le 60 società legate all’AI quotate sull’S&P 500 hanno contribuito per oltre il 65% alla performance dell’indice dal 2022 (anno del lancio di GPT), record storico!

Nel 2026 continuerà l’espansione del ciclo di investimenti legato all’AI, con Hyperscaler che aumenteranno ulteriormente i capex, sostenibili finché cresceranno i cash flow. Questo sosterrà margini e produttività, driver chiave per il mercato USA. Tuttavia, l’eccesso di concentrazione potrebbe generare rotazioni settoriali rapide e significative.

La Fed manterrà un approccio prudente, con possibili tagli dei tassi se l’economia rallenterà. Storicamente, i tagli in assenza di recessione hanno avuto effetti positivi sugli asset rischiosi.

Rischi principali: concentrazione delle posizioni globali nelle Big Seven, finanziamenti circolari nei settori AI, eventuale raffreddamento dei capex o dei margini che potrebbe innescare un risk-off globale. Da monitorare i capex degli hyperscaler rispetto ai flussi di cassa e gli spread di credito delle big tech. Inoltre, attenzione a un possibile rallentamento economico (occupazione USA, debito privato), incertezza politica e tensioni geopolitiche (Fed politicizzata, rapporti USA-Cina). Ultimo ma non meno importante: il deficit energetico. Se non si troveranno soluzioni, la mancanza di energia per i data center potrebbe creare colli di bottiglia nella vendita di chip. Si stima un deficit di circa 44 GW fino al 2028 (equivalente a circa 40/44 centrali nucleari).

Europa: scenario complesso, ma tante opportunità

Se il mercato americano resterà il riferimento, l’Eurozona – dopo tre anni consecutivi di performance positive (non accadeva dal 2017) – potrebbe sorprendere anche nel 2026. Nel 2025 si è verificato un importante re-rating, probabilmente anticipando parte della crescita degli EPS del 2026. Tuttavia, il prossimo anno potrebbe segnare una nuova fase di crescita, stimolata da ripresa degli utili (+7/10%), espansione fiscale tedesca, piano ReArm Europe, investimenti per elettrificazione reti (attesi circa 2000 miliardi di euro nei prossimi anni tra infrastrutture e generazione pulita).

L’Europa ripartirà con valutazioni più basse rispetto agli USA: lo sconto è vicino ai massimi storici. Il posizionamento resta “leggero” e meno dipendente da poche mega-cap, favorendo rotazioni settoriali. I settori ciclici e le aziende che hanno sottoperformato nel 2025, viste le basse valutazioni, potrebbero offrire buoni rapporti rischio/rendimento.

Rischi: ritardi negli stimoli fiscali, shock su export e valute (tensioni commerciali USA-EU, rafforzamento dell’euro), instabilità politica in UK e Francia.

Cina: restiamo costruttivi

Nel 2025, per la prima volta dal 2020, abbiamo visto revisioni positive degli utili, probabilmente sostenute dalla politica anti-involuzione del partito. Questa strategia ha ridotto gli eccessi produttivi e migliorato la redditività delle imprese. Ci aspettiamo ulteriori revisioni positive degli EPS con impatto favorevole sugli indici.

La Cina con il quindicesimo piano quinquennale, oltre ad indicare la “crescita di qualità” come pilastro, ha individuato anche la tecnologia come un’importante area di interesse. In ambito AI, ha scelto di non investire sull’intelligenza artificiale generale, concentrandosi su applicazioni pratiche che potrebbero migliorare la produttività già nel breve termine. Inoltre, Pechino gode di un vantaggio competitivo: il costo dell’elettricità tra i più bassi al mondo, fattore cruciale per l’evoluzione dell’AI e del settore tecnologico. L’agenda verde cinese ha già portato benefici, che potrebbero essere amplificati dall’export di tecnologie innovative come le batterie di nuova generazione, utili per sopperire alle carenze energetiche di molti paesi.

Per il 2026, vista la valutazione relativamente economica degli indici e la determinazione del partito nel migliorare la competitività delle aziende, riteniamo che ci potrà essere un interessante re-rating. Rischi: nuove tensioni USA-Cina, nuove tensioni dal mercato immobiliare.

Contesto europeo: Emissione di Titoli di Stato nell’Area Euro 2026, un anno ponte tra QT, incertezze fiscali e ruolo crescente degli investitori privati

Il quadro europeo delle emissioni governative nel 2026 si configura come una fase di transizione delicata, caratterizzata da un mix di fattori che manterrà elevata la pressione sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda. L’offerta netta di titoli di Stato dell’area euro resterà su livelli simili al 2025, intorno a 500 miliardi di euro, mentre la BCE proseguirà con il Quantitative Tightening a un ritmo stabile di circa 40 miliardi al mese. Senza più il sostegno della banca centrale, il mercato continuerà quindi a dipendere in modo cruciale dalla capacità del settore privato di assorbire volumi importanti di emissioni, in un contesto reso più complesso dalle incertezze politiche e fiscali negli Stati Uniti e soprattutto in Francia, oltre che dalla riforma strutturale del sistema previdenziale olandese.

Nel 2025 la domanda è solida e gli investitori esteri hanno svolto un ruolo decisivo, sostenuti anche dalla dinamica di de-dollarizzazione intensificata dopo l’introduzione dei dazi statunitensi in primavera, che ha spinto diversi investitori extra-area euro, inclusi quelli giapponesi, a incrementare l’esposizione ai governativi europei. Un contributo rilevante è arrivato anche dalle banche dell’area euro, che nei primi nove mesi del 2025 hanno acquistato oltre 300 miliardi di EGB, spinte sia dalla ricostituzione delle riserve di liquidità sia da esigenze di hedging strutturale per migliorare il net interest income. Parallelamente, il settore assicurativo è tornato acquirente netto nella prima metà dell’anno, attratto da rendimenti più elevati e da un miglior profilo rischio-rendimento del carry.

A dispetto delle preoccupazioni iniziali, i fondi pensione olandesi, impegnati nella transizione del sistema previdenziale, non hanno effettuato vendite massicce di duration, riducendo così il rischio di pressioni sulla parte lunga delle curve.

Domanda BTP è rimasta solida nel 2025, supportata dagli upgrade delle agenzie di rating e dalla buona partecipazione degli investitori esteri e retail.

Mantenere l’attuale livello di spread (prossimo ai 75 bps oggi) richiederà particolare attenzione.

Per il 2026 è atteso un volume significativo di scadenze di bond in Italia (~400 mld BTP), con importanti redemption nel primo trimestre (ca. 135 mld).

Situazione ancora complessa in Francia dopo le elezioni del luglio-24; gli investitori extra-euro prudenti per incertezze politiche. Pesanti le scadenze nel primo trimestre 2026 (circa 130 mld).

Per il 2026 è attesa una domanda domestica stabile, possibile pressione sugli spread pre-elezioni 2027, in occasione della finanziaria 2026.

Mercato governativo USA: ruolo della Fed, dinamiche repo e rischi sull’offerta

Nel 2025 il mercato dei governativi statunitensi ha mostrato tensioni soprattutto sul front-end del mercato repo, con tassi che si sono spesso collocati al di sopra dell’Interest on Reserve Balances. Questo squilibrio ha spinto la Federal Reserve a interrompere il processo di Quantitative Tightening. Guardando al 2026, è verosimile che la Fed debba tornare a svolgere un ruolo di backstop del mercato tramite acquisti più consistenti di T-bill oppure attraverso una riforma o un ampliamento della Standing Repo Facility. Una SRF più ampia o maggiormente operativa contribuirebbe ad ancorare in modo più stabile i tassi repo e, di conseguenza, gli swap spreads dei Treasury, con effetti particolarmente rilevanti sulla parte intermedia della curva.

Permane tuttavia un rischio di pressioni sul tratto lungo qualora dovessero verificarsi nuovi incrementi inattesi delle size delle aste di Treasury coupon. Nonostante ciò, una ripetizione del buyers’ strike osservato nel 2023 appare improbabile, soprattutto alla luce di un contesto monetario meno restrittivo. La domanda ufficiale verso i Treasury rimane comunque debole: i reserve managers, dopo un forte incremento degli acquisti nel primo trimestre 2025, hanno mostrato un evidente rallentamento, e nel 2026 rimarranno sensibili tanto alle dinamiche geopolitiche quanto allo stato dei conti pubblici statunitensi.

Mercato valutario

Negli ultimi anni si è discusso molto del possibile “debasing” del dollaro, legato a inflazione, aumento del debito e uso geopolitico della valuta. Questi timori hanno rilanciato il tema della diversificazione valutaria, ma i dati recenti mostrano un quadro più equilibrato.

Il volume medio giornaliero delle operazioni sul mercato valutario OTC ha raggiunto 9,6 trilioni di dollari, in aumento del 28% rispetto ai 7,5 trilioni di tre anni prima.

Il dollaro USA rimane dominante, presente nell’89,2% di tutte le transazioni valutarie; seguono l’euro (28,9%), lo yen (16,8%), la sterlina (10,2%), lo yuan cinese (8,5%) e il franco svizzero (6,4%). Le transazioni spot e i contratti forward sono aumentati rispettivamente del 42% e 60%, con quote sul totale passate al 31% e 19%.

Il flusso giornaliero è di gran lunga l’elemento chiave e supera lo stock delle banche centrali (dati COFER/IMF 12,9 trillion Usd).

La quota di dollari statunitensi nelle riserve internazionali è scesa al 56,3% tra aprile e giugno (fonte IMF). Tuttavia, in termini di valuta costante, è rimasta sostanzialmente invariata.

In termini di valore complessivo il valore statico delle riserve delle 149 banche centrali è inferiore ai flussi giornalieri (9,6 trillion Usd) che hanno maggiore importanza per la parte previsionale.

Il dollaro continua a rappresentare la principale valuta di riferimento negli scambi finanziari e commerciali. Inoltre, la rapida crescita delle stablecoin denominate in dollari – sostenute dall’amministrazione statunitense e garantite da riserve come i Treasury a breve termine – potrebbe aumentare la domanda di titoli di Stato americani e consolidare ulteriormente il ruolo globale del dollaro.

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