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Gli attacchi hacker, tra cyber war e guerra economica

31 maggio 2023 | 13.20
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Il 'Promemoria' di Mauro Masi per Adnkronos

Gli attacchi hacker, tra cyber war e guerra economica

Hacker. L’ultimo episodio è di pochi giorni fa, un attacco importante e molto diffuso alla ASL dell’Aquila volto a carpire le credenziali di accesso ai sistemi di Rete di migliaia di clienti. La peculiarità di questo attacco è che è avvenuto attraverso un virus informatico sinora sconosciuto e che è stato in grado di bypassare la protezione forte di una barriera di ben 72 antivirus. Non è certo la prima volta che vengono attaccati (da noi e altrove) i sistemi regionali considerati dai malintenzionati di più facile accesso rispetto a quelli nazionali. Ma, comunque, prima l’aumento del traffico di Rete dovuto ai lockdown della pandemia, poi la guerra Russia-Ucraina ha portato ad un incremento esponenziale degli attacchi informatici da parte di hacker. Ma che cos’è un “hacker”? il termine è un inglesismo peraltro ormai inevitabilmente connesso a crimini informatici. Indica qualcuno che riesce ad inserirsi in un sistema o in una Rete senza (o addirittura, contro) la volontà dei legittimi gestori. La storia degli hackers è relativamente lunga e, come detto, non sempre completamente negativa: alcuni hackers hanno (molto spesso involontariamente) contribuito a rendere più sofisticati ed efficaci i sistemi di sicurezza di Rete così come importante è stato ed è il loro rapporto con il movimento “open source” (che molto deve all’americano Eric Raimond, uno degli hacker più noti al mondo). Ha poi raccolto particolare attenzione sui media il gruppo cosiddetto Anonymous che ha rivendicato nel tempo una serie di spettacolari azioni di disturbo sulla Rete anche a siti italiani (nonché qualche anno fa la chiusura per molte ore del sito web ufficiale del Vaticano). Ma l’attività degli hackers può andare molto al di là di queste azioni più di immagine che di sostanza ed entrare in territori di ben altra rilevanza e pericolosità. Secondo, infatti, uno studio di Security Defense Agenda – SDA (il principale think-tank specializzato nel settore con base a Bruxelles il 57% degli esperti mondiali di sicurezza informatica ritiene che sia in atto - e ciò ben prima del conflitto Russo-Ucraino- una corsa agli “armamenti” informatici in vista di una possibile “cyber-war”; una specifica guerra informatica. Una guerra i cui prodomi potrebbero già esistere; secondo media USA di solito molto ben informati, la NATO avrebbe segnalato in un proprio report che il numero di attacchi ai siti del Congresso e delle Agenzie governative USA in patria e nel mondo, è cresciuto in maniera esponenziale, si parla addirittura di 1,6 milioni di attacchi al mese. Il tema, naturalmente, riguarda soprattutto la sicurezza tra Stati ma è crescente anche la guerra cibernetica tra privati, capitolo molto rilevante della guerra economica tra le grandi corporations mondiali che, tra l’altro, da tempo investono miliardi di dollari all’anno per difendersi da attacchi informatici (anche assumendo hackers).

Adderall. Secondo l’Economist la grave carenza di medicine usate negli Stati Uniti per contrastare i deficit di attenzione (noti come ADHD) potrebbe essere addirittura una delle cause dell’abbassamento dell’indice di produttività del sistema USA. Una tesi ardita e suggestiva e per niente inverosimile. Ma andiamo con ordine. La più nota delle medicine di cui si tratta è l’Adderall un farmaco a base di anfetamina che agisce da stimolatore cognitivo aiutando a mantenere ed a incrementare la concentrazione. E’ un fatto che l’Adderall (diffusissimo negli USA soprattutto nelle persone a più alta produttività) è da tempo difficilmente reperibile e nemmeno facile da ottenere necessitando (solo da pochi mesi) di una specifica e dettagliata prescrizione. Quindi la correlazione tra diffusione dal farmaco e produttività, sebbene difficile da provare statisticamente, non sarebbe campata in aria. E non sarebbe nemmeno la prima volta nella storia economica che uno specifico prodotto influenza i ritmi di produzione; lo stesso Economist ricorda l’incremento della produttività dell’economia inglese nel ‘700 e nell’ ‘800 connesso alla diffusione in larga scala rispettivamente dello zucchero e del caffè.

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