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Forum Pa: Sacconi, 5 le criticità che bloccano lavoro agile

24 maggio 2017 | 15.07
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Maurizio Del Conte Mariano Corso e Maurizio Sacconi in occasione del Forum Pa
Maurizio Del Conte Mariano Corso e Maurizio Sacconi in occasione del Forum Pa

Il lavoro sta cambiando e le pubbliche amministrazioni non riescono a stare al passo. E’ l'esempio del cosiddetto smart working. Mentre nel settore privato italiano gli smart workers, ossia quei lavoratori che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità di lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati, aumentano di anno in anno, molto meno positivo è lo scenario all’interno della Pubblica amministrazione nella quale, nonostante alcune positive esperienze, lo smart working è nei fatti assente.

Eppure lo stesso disegno di legge sul 'lavoro agile', inizialmente proposto dal Governo e poi ulteriormente ampliato e migliorato dalla Commissione Lavoro del Senato, fa esplicito riferimento alla possibilità di applicazione ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche. La stessa riforma Madia della Pubblica amministrazione all’art. 14, nel quadro della 'Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche', chiede di adottare misure organizzative "per la sperimentazione … di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa".

E proprio lo smart working è stato tra i protagonisti del Forum Pa “Nella pubblica amministrazione -ha detto Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato- ci sono cinque criticità che rendono difficili le trasformazioni possibili con le tecnologie digitali. L’approccio formalistico testimoniato ora da una circolare di 25 pagine e 40 adempimenti sul 'lavoro agile'. Il blocco della spesa per formazione. L’invecchiamento da 43 a 51 anni dell'età media negli ultimi 15 anni. La vecchia segmentazione dei profili professionali. L’assenza del ‘buon datore di lavoro’ e il potere di veto dei sindacati”.

“Siamo in presenza -ha affermato- di un cambiamento senza precedenti: è finita davvero la seconda rivoluzione industriale, tuttavia la terza non ha influito sulla contrattazione, ma ci auguriamo che cominci ora con le tecnologie”.

Riferendosi allo smart working, Sacconi ha ricordato come “la norma non parla solo di lavoro da remoto e del superamento della postazione fissa: sottolinea anche che il lavoro possa essere svolto per obiettivi”. “Cambia il modo di lavorare e di produrre -ha commentato- ma questa nuova disciplina deve conciliarsi con i fattori del ‘900 come ad esempio l’orario di lavoro. Si tratta di regolare quel tipo di prestazione, può indicare i luoghi nei quali si può svolgere, indica il potere di controllo del datore di lavoro e prevede, per la prima volta la possibilità, per il lavoratore, di ‘disconnettersi’ dal lavoro stesso. Viene, inoltre, introdotto, il diritto all’apprendimento continuo”.

"Il 'lavoro agile' non nasce per legge". Ha affermato Maurizio Del Conte, presidente Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro. “Il legislatore -ha sottolineato- cerca di dare un quadro di legge a un fenomeno in trasformazione. Abbiamo capito che c’era bisogno di una carta d’identità per quelle pubbliche amministrazioni che si spingevano verso la modalità dello smart working. I pionieri del 'lavoro agile' agivano su un terreno sconosciuto, da qui l’idea di legare la normativa a un percorso che riunisce la Pa al lavoro pubblico e il lavoratore all’azienda”.

“Oggi -ha ricordato Del Conte- abbiamo una legge che consente alla pubblica amministrazione di sperimentare il lavoro agile. Per questo, lo smart working può agire come ‘cavallo di Troia’ nella Pa, come fattore di leva per la valutazione delle performance, ma non in chiave di premialità”.

E a fare una mappatura dello smart working in Italia è stato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano. “In Italia -ha ricordato- ci sono 250mila smart worker, ma c’è ancora molto da fare, soprattutto nella pubblica amministrazione che è rimasta ai margini di questo fenomeno. Lo smart working -ricorda- è un fenomeno di grande interesse e crescente popolarità. Rappresenta un’occasione di rilancio e ammodernamento per il Paese. In un anno abbiamo assistito al passaggio dal 17 al 30% delle grandi imprese che hanno introdotto iniziative strutturate di smart working”.

“E’ importante ricordare -ha chiarito Corso- l’impostazione che stiamo dando a questo fenomeno: non solo di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli familiari e di concessione del datore di lavoro. Stiamo, infatti, assistendo a un nuovo modello organizzativo-manageriale”. In questo contesto si inserisce la Pa che, per Mariano Corso, “è la grande sfida perché è abilitatore dello smart working e grande fruitore dello stesso”.

“Come soggetto abilitatore -ha detto- rappresenta una grande occasione di miglioramento perché permette di usare nel modo più intelligente le nostre città. Le maggiori criticità esistenti riguardano la cultura e la dotazione tecnologica. I progetti partono poi dalla necessità di abbassare i costi o come iniziative di welfare”. Per il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, “ci sono tre buoni motivi per portare lo smart working nella Pa: è un buon affare per i conti pubblici; è un modo per attrarre talenti; è un modo per introdurre la meritocrazia e la valutazione dei risultati”.

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