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Sanità: l'indagine, 64% emofilici fa sport, soddisfatti di Ssn

19 marzo 2016 | 12.07
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Sanità: l'indagine, 64% emofilici fa sport, soddisfatti di Ssn

I pazienti emofilici italiani tracciano un quadro sulla gestione della patologia e sul loro rapporto con l'assistenza sanitaria. Con un giudizio abbastanza positivo: sono stimolati a fare sport, hanno un buon rapporto con il proprio medico, anche se vorrebbero incontrarlo più spesso. Buona anche l'interazione con la farmacia di fiducia, ma vorrebbero qualcosa in più dal Servizio sanitario nazionale soprattutto per la terapia infusionale a domicilio e la fisioterapia. E' quanto rivela un'indagine alla quale hanno partecipato 54 malati, pari allo 0,5% della popolazione dei pazienti italiani. I dati sono stati presentati a Padova in occasione dell'incontro 'Re-Think Haemophilia'.

Dall'indagine emerge dunque che i medici sensibilizzano e incentivano i pazienti a praticare sport, rendendoli consapevoli dei benefici che questo può comportare sulla loro salute. Il 64% dei rispondenti fa attività fisica con regolarità, preferendo il nuoto (74%) e la palestra (32%). Meno praticati la corsa e il basket. Buono anche il rapporto con la fisioterapia alla quale si sottopongono i due terzi del campione, anche a scopo preventivo (57%). Accedervi non è tuttavia facile per il 58% degli intervistati, per motivi legati in gran parte alla prenotazione e alla distanza dalla struttura. Quasi per tutti è molto utile il servizio domiciliare (92%), ma solo il 18,5% ne ha beneficiato in passato.

Tutti utilizzano Internet per informarsi sulla loro patologia, ma poi solo poco più della metà (il 51%) interagisce con i canali social media delle organizzazioni di pazienti. Buono il rapporto con il medico per quasi la totalità dei pazienti: il 90% ne è soddisfatto, mentre il 22% vorrebbe incontrare il proprio dottore con maggiore frequenza. Nonostante tutti i pazienti emofilici conoscano la profilassi come terapia, solo il 70% ne fa uso. Più dei due terzi, pari al 69% del campione, sono in terapia personalizzata.

Gli emofilici hanno però ancora qualche difficoltà nell'accesso al farmaco (30%), ma la maggior parte degli intervistati (78,8%) è soddisfatta del rapporto con la farmacia di riferimento e dei tempi di approvvigionamento del prodotto rispetto alle tempistiche del piano terapeutico (82,7%). Tra i punti di forza del Ssn nella continuità assistenziale, viene segnalata la fornitura dei farmaci emoderivati e ricombinanti per la terapia sostitutiva e la possibilità di poter fare indagini di laboratorio e strumentali anche al di fuori del Centro emofilia, ovvero presso centri convenzionati. Tra le aree di miglioramento indicate, la disponibilità del personale dedicato alla terapia infusionale a domicilio (osteopatia o fisioterapia adeguata), il legame troppo stretto con i vincoli di spesa.

"In Italia - ha affermato Andrea Buzzi, presidente fondazione Paracelso - vige ancora oggi una sorta di 'ossessione contabile' e i piani di rientro in molti casi sono stati penalizzanti per i pazienti, che sono dovuti anche partire per altre regioni in cerca di servizi che nel luogo di residenza non vengono offerti. Il definanziamento mette a rischio di una destrutturazione del sistema pubblico e di una spinta alla privatizzazione, in parte già in atto, per politiche di cortissimo respiro. E allora la fisioterapia diventa qualcosa che se il paziente può pagare bene, altrimenti non ha accesso. Sappiamo tutti che le risorse economiche per la sanità sono limitate. Il problema è il modo in cui gestirle".

"La fisioterapia - ha aggiunto Cristina Cassone, presidente Fedemo (Federazione delle associazioni emofilici onlus), - sta acquisendo un ruolo sempre più importante. I pazienti la praticano a intervalli differenti a seconda delle necessità, ma è un servizio dispensato privatamente e non dai centri specializzati. Per questo sosteniamo di promuoverne maggiormente l'accesso".

"Sulla cura dell'emofilia si sono avuti negli ultimi 20 anni avanzamenti straordinari: la vita media di un paziente italiano di sesso maschile è di 72 anni, quindi molto simile a quella di un adulto non emofilico. Questo dipende dal fatto che sono stati condotti importanti studi partendo dalla ricerca di base, e sono stati sviluppati modelli di gestione territoriale. Ciò dovrebbe diventare un esempio per altre malattie rare, in modo da raggiungere obiettivi altrettanto alti e prestigiosi". A dirlo Giovanni Di Minno, presidente dell'Associazione italiana centri emofilia (Aice), oggi a Padova a margine dell'incontro.

"Oggi il concetto - spiega all'AdnKronos Salute - è che è possibile curare l'emofilia, cosa che significa creare le condizioni per cui il paziente non abbia più gli handicap finora avuti. Questo già avviene in alcuni casi con l'emofilia B, e molto presto diventerà così anche per l'emofilia A. Ci sono calcoli effettuati nel Regno Unito che dimostrano come la terapia genica, che a breve sarà disponibile per i pazienti, determini una riduzione dei costi totali legati alla malattia, considerando l'intera vita dei pazienti. Questo andrà considerato anche per i nuovi farmaci che saranno in grado di proteggere maggiormente il paziente dal rischio emorragico rispetto all'attuale standard: sarà necessaria solamente una somministrazione al mese, contro le attuali 2 o 3 a settimana". Per farlo, però "è necessaria da parte delle aziende e dei sistemi sanitari una cooperazione reale, che in parte già avviene".

Secondo Di Minno, "nell'ambito dell'emofilia ci sono state aziende che si sono interessate alla ricerca su una malattia comunque rara, perché stimolate dai risultati della ricerca di base nata dalla clinica, per una trasferibilità immediata al letto del paziente. Poi però, una volta che si hanno i farmaci, serve una gestione adeguata, senza la quale essi non possono produrre nessun effetto".

Per Marco Marchetti, responsabile dell'Unità di valutazione delle tecnologie e innovazione del Policlinico universitario Gemelli di Roma, nell'ottica dell'arrivo di nuovi importanti farmaci per l'emofilia e anche per altre malattie, "servono più dati sui benefici della terapia profilattica rispetto a quella 'on demand'. Senza dati manca la capacità di dire 'adottiamo questo percorso' perché vantaggioso per il Sistema sanitario nazionale. Questo vale per una serie di patologie: non avendo abbastanza dati, non siamo in grado di dire qual è vantaggio di una terapia, magari più costosa di quelle attuali".

Gli fa eco Francesco Saverio Mennini, professore di Economia sanitaria all'università Tor Vergata: "Non si percepisce quanto sia importante ottenere delle evidenze sul peso totale di una malattia. Per l'epatite C all'inizio circolavano dati incerti, poi ci si è messi con impegno a fare analisi puntuali per capire quanto pesava la malattia nel Paese e si sono prese delle decisioni anche sulla base di queste. Bisogna calcolare non solo il valore economico dei trattamenti farmacologici, ma anche dei costi indiretti, altrimenti non si riesce a tracciare un percorso diagnostico-terapeutico corretto, che consentirebbe anche di far includere ad esempio la fisioterapia, che è assurdo sia a spese del paziente".

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