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Salone libro

La disinformazione viaggia sugli algoritmi

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13 maggio 2019 | 12.27
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Potrebbero essere gli algoritmi a decidere l'opinione pubblica. E' quanto emerso nell'incontro 'Le regole della disinformazione' organizzato al Salone del Libro dal Corecom Piemonte con il Consiglio regionale per fare il punto sulle fake news. All'iniziativa è intervenuto Antonio Martusciello, commissario Agcom, che ha osservato come "oggi il 54,5% degli italiani reperisce notizie attraverso strumenti governati da algoritmi, mentre solo il 39,4 per cento della popolazione si rivolge direttamente a siti web o applicazioni degli editori". 

E, proprio in tema di fake news, il presidente di Corecom Piemonte, Alessandro De Cillis ha rilevato  come "Facebook stesso stia cominciando a chiedere maggiori informazioni sugli amministratori delle pagine, con la promessa di rivelare la posizione geografica dalla quale si inviano post e notizie", una soluzione che, però, per Martusciello  "è ancora troppo poco", perché "bisogna punire chi mette in circolo notizie false in modo cosciente e professionale".

Dal canto suo, il direttore de La Stampa, Maurizio Molinari ha sostenuto che "il diritto d'autore è la barriera alle fake news. Anche per questo bisogna che i lettori paghino l'informazione di qualità: se non pagano i lettori, pagherà qualcun altro, togliendo ogni autonomia editoriale ai giornalisti", mentre Vittorio Del Monte, commissario Corecom Piemonte, ha spiegato che la "Cassazione ha previsto il sequestro di siti che diffondono scientemente notizie false. Spesso infatti manca l'autoregolamentazione che esiste nella carta stampata. La repressione può comunque essere fatta soltanto ex post, ovviamente non c'è una censura preventiva".

Infine,  Sergio Scamuzzi, vicerettore dell'Università di Torino ha spiegato che la disinformazione spesso deriva dall'affollamento di argomenti e concetti. "Anche le notizie dovrebbero essere indirizzate verso grandi temi e non soltanto soddisfare la pancia del lettore,  mentre il coordinatore nazionale dei Corecom, Filippo Lucci ha concluso ricordando come sin dalla scuola, tutte le istituzioni devono riappropriarsi del loro ruolo di garanzia, senza delegarlo ai big che gestiscono l'informazione online.

E sulla capacità degli algoritmi di influenzare l'opinione pubblica e i comportamenti si è discusso anche in un altro dibattito organizzato al Salone su 'Big Data e società digitale' moderato dal presidente del Corecom Piemonte, Alessandro De Cillis. "Non esiste alcuna evidenza scientifica che ci dica che i comportamenti di voto siano direttamente influenzati da internet e dai social media - ha spiegato il direttore dell'Osservatorio della Comunicazione pubblica e politica dell'Università di Torino, Cristopher Cepernich - altra questione è dire che atteggiamenti e opinione pubblica ne subiscano in qualche modo l'influenza".

Intervenendo all'incontro, Juan Carlos De Martin, docente del Politecnico di Torino, si è concentrato, invece, sugli aspetti legati ai dati. Parlare di big data - ha osservato è diverso dal parlare di social media. Oggi Facebook è diventato un potentissimo aggregatore di contenuti che non esisterebbero se non ci fosse internet. Il grande lavoro da fare oggi è sulla consapevolezza degli utenti che utilizzano queste piattaforme. Dovremmo, inoltre, pretendere maggior trasparenza da parte delle big tech sull'utilizzo che viene fatto dei dati degli utenti".

Per Tarcisio Mazzeo, caporedattore del Tg3 Rai del Piemonte, "il lavoro del giornalista è quello della verifica costante delle fonti di fronte a un'opinione pubblica sempre più disorientata dal flusso massiccio di informazioni". Una riflessione condivisa da Filippo Lucci, presidente del coordinamento nazionale dei Corecom: "i dati ci aiutano a prendere decisioni più consapevoli, ma abbiamo bisogno di competenze e professionalità in grado di orientarsi in questo mondo".In conclusione Antonio Nicita, commissarrio Agcom, ha sottolineato come "i nostri comportamenti quotidiani alimentino gli algoritmi, che trasformano le informazioni per stimolare la pubblicità online. In prospettiva, le piattaforme ambiscono a diventare esse stesse il mercato. Dobbiamo introdurre regole che non smontino l’intuizione inziale del web come luogo di libertà".

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