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Cassazione: ritmi insostenibili sul lavoro, azienda risarcisca danni

08 maggio 2014 | 16.02
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I ritmi troppo serrati sul lavoro che causano danni anche letali al lavoratore fanno scattare la condanna del datore di lavoro al risarcimento danni patrimoniali e morali ai familiari per la mancata tutela della integrità fisica del lavoratore salvaguardata dall'art. 2087 del codice civile. Lo ha sancito la Cassazione nel bocciare il ricorso della Ericsson Telecomunicazioni condannata al risarcimento dei danni patrimoniali e morali conseguenti alla morte di Stefano S. avvenuta per infarto del miocardio. Come ricostruisce la sentenza 9945 della sezione Lavoro, Stefano S. si era trovato ad operare negli ultimi mesi del suo rapporto di lavoro in condizioni di "straordinario aggravio fisico" e l'attività lavorativa "si era intensificata fino a raggiungere ritmi insostenibili".

L'uomo era arrivato a lavorare "undici ore al giorno" e "gli svariati e complessi progetti erano stati affidati alla sua gestione diretta senza affiancamento di collaboratori" tanto che il più delle volte il lavoro si protraeva anche "da casa e fino a tarda sera" con esiti letali per il lavoratore. Da qui la richiesta di risarcimento danni da parte della vedova Francesca I. e della figlia minorenne.

La Corte d'appello di Roma, il 24 maggio 2011, riformando la sentenza di primo grado, aveva stabilito per la moglie del lavoratore e per la figlia un risarcimento superiore agli 800 mila euro (nel dettaglio 434.137 euro per la vedova e 425.412 euro per la figlia) ritenendo che le conclusioni del Ctu medico - legale comprovassero che l'infarto dell'uomo era "correlabile in via concausale con indice di probabilità di alto grado" alle vicende lavorative. Il giudice dichiarava inoltre l'obbligo della Milano Assicurazioni di tenere indenne la Ericcson per 309.874 euro. (segue)

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