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Coronavirus, Accademia Crusca: "Pronunciarlo all'inglese è snobismo"

11 marzo 2020 | 14.05
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Per il presidente Marazzini: "Discutibile e poco opportuna pronuncia in inglese". Di diverso avviso il linguista Sgroi

(Foto Fotogramma)
(Foto Fotogramma)

di Paolo Martini

La scelta del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, durante un incontro all'estero, il 12 febbraio scorso, parlando in italiano, di pronunciare in pubblico il nome il termine 'coronavirus' all'inglese (quindi 'coronavairus') "resta discutibile e poco opportuna, ed è ascrivibile alla categoria di quello che i linguisti chiamano 'snobismo': avrà sentito pronunciare così da colleghi o esperti esteri, e l'ha ripetuto a sua volta in italiano". Lo afferma il professor Claudio Marazzini, presidente dell'Accademia della Crusca, in un testo dal titolo "In margine a un'epidemia: risvolti linguistici di un virus", pubblicato sul sito internet della stessa Accademia, secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire la purezza della lingua italiana.

Commenta Marazzini: "La reazione dei giornali e della Rete è stata molto intensa, secondo lo stile dei media, con una buona dose di sbeffeggiamenti. Salvatore Sgroi, linguista controcorrente e libertario, è intervenuto a difesa: se coronavirus è un anglismo, non è un peccato mortale pronunciarne il nome all'inglese. La voce di questo linguista è stata forse l'unica che si è levata a difesa dell'uomo politico. Ho espresso subito all'amico Sgroi il mio consenso, perché condivido perfettamente la sua difesa condotta contro chi magari dimentica che altre parole anglo-latine vengono comunemente anglicizzate, come mass-media pronunciato 'mass-midia', o Juventus stadium pronunciato 'Juventus stedium'".

Per il presidente dell'Accademia della Crusca, "di fatto, in tutto il mondo, chi usa l'inglese, non dice solo 'coronavairus' (pronuncia regolarmente registrata nell'Oxford dictionary), ma anche dice 'vairus' per 'virus'. Però in Italia la pronuncia 'vairus' non ha corso. Ciò significa che gli italiani, in questo caso, per fortuna, a differenza di quanto accadde per la scelta di 'stedium' e 'midia', non hanno avvertito virus e coronavirus come anglismi. Quindi non si tratta di scegliere come si vuole, ma di attenersi a un uso stabile, consolidato e dominante". "Del resto lo stesso Di Maio, dopo la campagna di stampa contro la sua pronuncia anglicizzante sembra aver cambiato strada. Credo abbia fatto bene a far così", conclude Marazzini.

Ma per il professor Sgroi, linguista dell'Università di Catania, "trovandosi dinanzi a un termine inglese (costruito con elementi latini)", il ministro Di Maio, "consapevole a differenza dei suoi ipercritici (si potrebbe anche sostenere) che si trattava di un anglicismo, si è comportato come un parlante normalissimo che ha adattato la pronuncia inglese all'italiano, cioè 'coronavairus'. Muovendo dallo scritto, o basandosi sulla pronuncia ortografica certamente più comune, avrebbe potuto dire anche 'coronavirus'. Ma ha fatto un'altra scelta. Che può non piacere, ma che non può certamente essere oggetto di critiche infondate o di aggressioni verbali".

Con un intervento sul sito internet 'Libreriamo', Sgroi ha spiegato: "In italiano la pronuncia pan-italiana, diffusa da tutti i mass media, è quella ortografica, 'coronavirus', favorita anche dal fatto che il parlante comune non percepisce che si tratta di un anglo-latinismo. Trattandosi però di un anglicismo diffuso ormai nel mondo la pronuncia inglese o americana per il prestigio proprio dell'anglo-americano ha cominciato a far capolino anche in italiano, variamente adattata. Da qui il 'coronavairus' in bocca al ministro Di Maio, ingiustamente quasi 'lapidato' per questa sua preferenza". "Se il 'coronavirus' è un anglismo, non è un peccato mortale pronunciarne il nome all'inglese", ha commentato il linguista.

"LAVORO AGILE" AL POSTO DI "SMART WORKING" - L'Accademia della Crusca esprime poi "soddisfazione" per il ricorso all''uso di "lavoro agile" al posto dell'anglicismo "smart working". "Le conseguenze linguistiche di una crisi possono essere le più imprevedibili. Pur nel contesto tragico, una soddisfazione è giunta inattesa al gruppo Incipit, il nucleo di linguisti collegato alla Crusca impegnato nel suggerire equivalenti italiani delle parole straniere che rischiano di entrare nella comunicazione pubblica - spiega Marazzini sul sito internet dell'Accademia come riferisce l'AdnKronos - Una delle misure indicate come utili per contrastare l'epidemia è infatti il lavoro svolto da casa per via telematica, cioè quello che in inglese si chiama 'smart working', espressione che Incipit aveva suggerito di ribattezzare 'lavoro agile'".

"Nei vari interventi pubblici più recenti, le due denominazioni si stanno affrontando con alterne fortune, ma 'lavoro agile' pare reagire bene: è stato adoperato - rileva Marazzini - da parlanti qualificati e dotati di prestigio, e risulta assumere persino una posizione di vantaggio statistico sull'avversario inglese, a cui pure molti restano fanaticamente abbarbicati. La lotta senza quartiere al virus diventa anche il teatro della competizione tra queste due forme linguistiche".

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