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Salute

Sos dermatiti, il 40% dei 'veleni' è sul lavoro ma si tace per la crisi

07 novembre 2015 | 12.25
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(Infophoto)
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C'è l'istruttore di nuoto allergico al cloruro d'alluminio usato per igienizzare le piscine, e c'è il falegname ipersensibile alla segatura. Insieme a loro l'idraulico che non tollera la gomma dei tubi, l'addetto del fast food che non può toccare il chili, il barista impossibilitato a servire una camomilla, l'estetista irritata dai cosmetici, il giardiniere tormentato dagli erbicidi e il tabaccaio che sta male maneggiando i gratta e vinci. Fino al medico, all'infermiere o alla badante a rischio ogni volta che somministrano un farmaco.

Sono pochi esempi presi a caso nell'esercito dei lavoratori afflitti dalle dermatiti professionali: i casi denunciati sono circa 600 all'anno, ma per gli esperti della Sidapa (Società italiana di dermatologia allergologica professionale e ambientale) sono soltanto la punta di un iceberg ben più profondo. Negli ultimi 8 anni sono stati scoperti 172 nuovi allergeni, spiegano. E 4 su 10 sono 'veleni' che si incontrano sul lavoro. Ma in tempi di crisi molti soffrono in silenzio per paura di perdere il proprio impiego.

"Ben 119 dei nuovi allergeni sono correlati a dermatiti in ambiente lavorativo", segnalano gli specialisti riuniti in Congresso nazionale a Caserta, convinti "che i lavoratori colpiti da una patologia dermatologica correlata alla professione siano un numero molto più elevato". E "le mancate denunce derivano in buona parte dalla crisi economica: la paura di perdere il lavoro spinge molti a tacere i disturbi e a conviverci con fatica. Segnalare i problemi è invece essenziale - raccomandano i dermatologi - per riconoscere le situazioni di rischio e mettere in pratica i metodi di prevenzione, spesso molto semplici, che possono impedire la comparsa di dermatiti professionali".

"Ogni anno - riferisce Nicola Balato, presidente del Congresso e professore associato di Dermatologia all'università Federico II di Napoli - sono poco meno di 20 i nuovi allergeni individuati dagli studi scientifici, e per il 40% si tratta di sostanze comuni in ambiente lavorativo. Un terzo appartiene alla lista degli ingredienti usati in ambito cosmetico, indicati genericamente come 'air conditioning agents': sostanze definite idratanti, umettanti, emollienti e agenti protettivi che si possono trovare in tinture per capelli, smalti per unghie, cere depilatorie, prodotti per il corpo, e che mettono a rischio estetiste, parrucchieri e addetti dei centri benessere".

Ma "la probabilità di dermatiti professionali è alta anche in medici, infermieri e badanti che devono somministrare farmaci ai pazienti: le polveri che si depositano sulla cute, toccando le pillole o spezzandole, possono provocare irritazioni - avverte infatti l'esperto - e sono numerosi gli operatori sanitari ipersensibili per contatto a medicinali molto diffusi come le benzodiazepine, gli Ace-inibitori e i beta-bloccanti".

L'elenco delle professioni 'pericolose' si allunga progressivamente, prosegue Balato. "Alcuni nuovi allergeni sono contenuti in erbicidi usati dai giardinieri o nelle gomme utilizzate dagli idraulici, e fanno capolino nuove allergie che riguardano gli addetti alla ristorazione: chili e camomilla hanno già provocato casi di dermatite da contatto in addetti dei fast food e baristi", testimonia lo specialista. "Riguarda infine i tabaccai, ma anche gli incalliti amanti del gratta e vinci, la dermatite da contatto indotta dal nickel contenuto nei rivestimenti del tagliando della fortuna".

Le dermatiti occupazionali sono un problema molto diffuso, assicura la Sidapa. Negli Usa, secondo le stime, riguardano 15 milioni di persone con una spesa pari a circa 1 miliardo di dollari l'anno. "In Italia invece l'attenzione è ancora scarsa - lamentano i dermatologi - e le omesse denunce sono la maggioranza perché i pazienti pensano di poter convivere con il loro problema, e perché appunto c'è il timore diffuso di perdere il lavoro a seguito della segnalazione".

Alberico Motolese, direttore di Dermatologia dell'azienda ospedaliera Macchi di Varese invita a "invertire la rotta. Conoscere le situazioni a rischio è fondamentale per individuare metodi preventivi adeguati alle diverse situazioni. I pazienti non dovrebbero temere ripercussioni lavorative - dice l'esperto - e in caso di sintomi di dermatite dovrebbero rivolgersi al dermatologo per una corretta diagnosi e per sapere come curarsi e proteggersi al meglio". Qualche esempio: "Gli addetti dei centri estetici dovrebbero sempre usare i guanti per ridurre il contatto con le sostanze potenzialmente allergizzanti presenti nei prodotti utilizzati; infermieri, medici e badanti dovrebbero sciacquare subito le mani dopo aver toccato le pillole, senza toccarsi il viso per non indurre una reazione allergica cutanea anche sul volto". Utili secondo gli specialisti anche le creme barriera, da utilizzare in aggiunta ai guanti per mantenere la pelle sana.

"Diminuire le possibilità di contatto con gli allergeni - osserva Cataldo Patruno, co-presidente del Congresso e consigliere Sidapa - è il modo migliore per ridurre l'incidenza delle dermatiti professionali, ma la prevenzione dovrebbe e potrebbe iniziare anche prima di mettere la firma sul contratto di lavoro. Se una persona ha una storia di dermatite atopica nell'infanzia, è più a rischio di allergie. Una ragazza che è stata atopica da bambina, se da grande diventa estetista ha un'alta probabilità di sviluppare una dermatite da contatto. Sarebbe come mandare un asmatico a lavorare in una cella frigorifera: crisi assicurate. Potrebbe perciò bastare una consulenza dermatologica in giovane età a chi ha avuto problemi di atopia - conclude Patruno - per indirizzare ciascuno verso impieghi sicuri".

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