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Eutanasia, almeno 3 italiani al mese vanno a morire in Svizzera

09 giugno 2014 | 14.27
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Eutanasia, almeno 3 italiani al mese vanno a morire in Svizzera

Adnkronos Salute) - Almeno tre italiani al mese si recano in Svizzera per non fare più ritorno. Connazionali "che muoiono in esilio", così li definisce all'Adnkronos Salute Emilio Coveri, presidente di Exit Italia, Associazione per il diritto a una morte dignitosa, che riceva "circa 40 telefonate alla settimana di persone disperate" e che da gennaio a maggio di quest'anno ha raddoppiato gli iscritti: 380, "praticamente il numero complessivo delle iscrizioni registrate in tutto il 2013".

Un tema, quello del fine vita, tornato sotto i riflettori dopo le ammissioni di alcuni medici, in ultimo Giuseppe Maria Saba, 87 anni, già ordinario di Anestesiologia e Rianimazione prima all'università di Cagliari poi alla Sapienza di Roma, che ha ammesso di aver praticato l'eutanasia in oltre 100 casi. Una nuova testimonianza dopo le polemiche dei giorni scorsi sull'eutanasia, sulla desistenza terapeutica (cioè il momento in un cui le cure vengono abbandonate perché inutili) e su quelli che possono essere i diritti del malato anche alla luce delle norme, mai approvate, sul testamento biologico.

La Svizzera è da tempo il luogo scelto dai cittadini degli Stati confinanti per poter porre fine alla loro vita con l'eutanasia. "Nei primi cinque mesi del 2014 - spiega Coveri - sono almeno 14 le persone che si sono recate in Svizzera". Ma si tratta di un numero in aumento: "In 29 hanno già fatto domanda di attivazione della procedura di morte volontaria assistita per i tre centri elvetici: Dignitas di Zurigo; Exinternational di Berna e Lifecircle di Basilea". Dei malati terminali italiani che hanno deciso di 'emigrare' in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale sin dal 1942, "nessuno ha più fatto ritorno". Si spendono "non più di 8.000 euro, meno di un funerale nel nostro Paese", fa notare il presidente di Exit Italia.

Cosa accade a quei malati terminali che scelgono l'eutanasia? "La Dignitas, ad esempio - spiega Coveri riportando un esempio concreto - ha una graziosa casa immersa nel verde, nelle campagne di Pfaffikon. Qui si arriva solo dopo aver avuto l'ok alla propria richiesta di suicidio assistito e dopo aver stabilito il giorno. A questo punto, si giunge nella struttura e ci si confronta con medici e volontari. I camici bianchi, per legge, sono tenuti a convincerti di non farlo, tentano in ogni modo di farti desistere. Ma se il paziente è deciso a farla finita, dopo varie visite che ne attestano le condizioni, si procede con l'eutanasia".

"Il posto è confortevole - assicura il presidente di Exit Italia - si sceglie la musica che deve accompagnare alla fine, si sta con i propri cari, si ha il conforto dei medici e dei volontari". Materialmente, invece, "si prendono due pasticche anti-vomito - prosegue Coveri - Dopo 10 minuti, se si è ancora convinti, viene somministrato un composto chimico contenente un barbiturico e un sonnifero potentissimo che addormenta profondamente. Impiega 3 minuti a far chiudere gli occhi, nei successivi 5 sopraggiunge l'arresto cardiaco. Non si prova alcun dolore naturalmente", assicura.

"Exit Italia dal 1996 lotta per vedere riconosciuto il diritto a una morte dignitosa - spiega Coveri - per questo abbiamo stretto un accordo con la Dignitas ed ExInternational, e dal 2013 anche con Lifecircle, che ci consente di fare informazione sulla loro attività. Ma noi vorremmo che ogni persona nel nostro Paese venisse lasciata libera di decidere sulla fine dei propri giorni, vedendosi riconosciuta la possibilità di morire dignitosamente, se è ciò che desidera".

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