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Codogno un anno dopo, lo psicologo: “E’ stata una guerra”

"Non c'è solo l'emergenza sanitaria, il dolore non è solo nei polmoni"

(Fotogramma)
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21 febbraio 2021 | 10.29
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Disturbo post traumatico. Non esiste un nome proprio per le ferite che il Covid lascia con segni a vista e traumi sottopelle. Sofferenze come quelle di chi è stato in battaglia. "E' inutile nascondersi, qui c'è stata una guerra - spiega all'Adnkronos Giovanni Barbaglio, psicologo e psicoterapeuta a Codogno -. Abbiamo visto l'esercito presidiare la città, abbiamo conosciuto il coprifuoco, ci siamo messi in fila al supermercato sperando di trovare ancora cibi di prima necessità, abbiamo fatto la conta dei morti ogni giorno. E ora serve un esercito di psicologi". Parole che suonano come una richiesta di aiuto per cancellare un virus che ha ridisegnato le abitudini e messo in forse il futuro.

"Hanno mandato i militari per farci restare in casa ed evitare i contagi, oggi per aiutarci avremmo bisogno di un esercito di psicologi per fronteggiare il disturbo post traumatico, per gestire le ansie e il dolore, per accompagnare i ragazzi 'interrotti' nel loro vivere sociale. Quanto accaduto va affrontato o un giorno all’improvviso salterà fuori. E' inutile nascondere e ammucchiare la polvere sotto il tappetto perché alla fine ci si inciampa: la verità è che il dolore va affrontano. L'ansia si combatte fronteggiando ciò che ci fa paura, non evitandolo. Non c'è solo l'emergenza sanitaria ma anche quella psicologica, il dolore non è solo nei polmoni", racconta chi da 15 anni lavora in un hospice e accompagna malati e familiari nell’ultima fase della malattia.

Il coronavirus taglia il respiro nelle terapie intensive, ma anche in chi malato non è. "E' difficile quantificarlo ma è innegabile un aumento di stress, ansia e suicidi. La fragilità del singolo viene esacerbata da una situazione stressante estremamente nuova". C'è chi ha il battito accelerato al passaggio di un'ambulanza a sirene spiegate, chi teme un attacco di panico se vede troppa gente al supermercato, chi si stranisce a guardare volti scoperti in filmati di repertorio in tv. "Sono cambiati i pensieri, è cambiato il bon ton: niente più strette di mano, il virus ha cancellato il linguaggio non verbale del viso protetto dalla mascherina, ha seppellito l''animale sociale'. E' cambiata la percezione: gli infermieri non sono solo portatori di salute, ma con le loro tute da astronauta possono portarti via per sempre il tuo caro", spiega.

Il Covid ha tolto la possibilità di assistere i propri cari in ospedale, "ha cancellato il rito funebre che serve a ripensare il dolore e a canalizzare l'angoscia della morte. A un certo punto le bare, per mancanza di spazio, sono state ammassate in una chiesa: è stata durissima sopportare quella quantità di sofferenza. In tanti mi chiamavano per dirmi 'sto bene', ma era più un rassicurare se stessi. In Lombardia abbiamo contato anche 600 morti al giorno e non lo possiamo dimenticare. Ai parenti delle vittime restano dentro domande in sospeso e vuoti difficili da riempire", dice lo psicologo Barbaglio con la voce rotta dall’emozione.

Dodici mesi legati dal filo conduttore "della paura. Codogno ha vissuto lo choc iniziale del paziente 1, si è trasformata da periferia in centro del mondo. Qui, per primi, abbiamo provato la paura di ammalarci, che potesse star male i nostri genitori e i nostri figli. La sanità lodigiana ha subito un trauma drammatico, il timore di non potersi curare tra i malati oncologici o cronici ha fatto aumentare ulteriormente le fragilità presenti", aggiunge.

E la normalità è ancora lontana. "Gli anziani nelle Rsa o che vivono soli in casa stanno pagando un conto salatissimo in termini psicologici e relazionali, come i ragazzi a cui viene strappata la socialità e l’istruzione tra i banchi o gli adulti che fanno i conti con l'angoscia di perdere il posto di lavoro". Timori che vanno affrontati con l'aiuto di esperti "perché - conclude lo psicologo Giovanni Barbaglio - solo elaborando quanto accaduto si può ripartire".

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